Una Metropoli Vale Mille Dungeon: Giocare e Narrare in una Città Senza Limiti
Una città aperta può essere come un labirinto se gestita e progettata correttamente
MATERIALIGAME DESIGNEDUCAZIONE


La metropoli come labirinto narrativo
Progettare città da esplorare come si esplora un gioco
Quando progetto un’avventura – che sia per un gioco di ruolo o per un’esperienza formativa – mi capita spesso di partire da una mappa urbana. Non solo perché è più facile da gestire, ma perché una metropoli ben costruita può diventare un labirinto narrativo dinamico, ricco e sorprendente.
Mi piace pensare alla città come a un “dungeon a cielo aperto”: fatta di corridoi, stanze, incontri, chiavi e segreti. Ma a differenza dei dungeon classici, qui puoi sempre aggiungere qualcosa, cambiare un quartiere, far sparire un personaggio, nascondere un nuovo enigma.
Un mondo che sembra libero, ma è ben guidato
Una delle cose che ho imparato lavorando con giochi e gruppi reali (sia al tavolo che in aula) è che le città funzionano benissimo anche per avventure strutturate.
Il giocatore sente di potersi muovere liberamente, ma in realtà è dentro un tracciato preciso, pieno di incontri, ostacoli e deviazioni.
La complessità urbana diventa così un modo per dare la sensazione di esplorazione, mentre guido la storia verso i suoi nodi.
Ogni taverna è una stanza.
Ogni vicolo è un tunnel.
Ogni mercato è un bivio narrativo.
Nel mio laboratorio ho anche creato materiali su misura per rappresentare città modulabili: plance, gettoni, tessere, carte da estrarre casualmente… tutte soluzioni che uso per far sì che ogni sessione in città sia diversa dalla precedente.
I superpoteri del master urbano
Quando una metropoli funziona bene, il master (o facilitatore) guadagna una flessibilità straordinaria.
Può muovere i personaggi non giocanti come pedine su una scacchiera narrativa, far apparire eventi al momento giusto, cambiare ritmo, spostare l’attenzione da un quartiere all’altro.
Naturalmente, serve un minimo di preparazione:
mappa chiara (anche se stilizzata),
identità per ogni zona della città (quartiere commerciale, zona malfamata, distretto religioso…),
e soprattutto NPC ben caratterizzati: artigiani, informatori, funzionari, guardie, osti, bambini curiosi…
Nel mio lavoro uso spesso simboli e carte personaggio per rappresentare questi incontri: oggetti reali che rendano la narrazione più tangibile.
Avere a disposizione strumenti artigianali pensati per gestire una città aiuta moltissimo a improvvisare in modo coerente.
Preparare, sì. Ma anche saper lasciare spazio
Come sempre nel gioco, serve equilibrio tra controllo e improvvisazione.
La città diventa viva solo quando i giocatori la attraversano. Le loro scelte, le deviazioni, i tentativi falliti sono ciò che la rendono vera.
Un errore comune è quello di voler pianificare tutto in anticipo. Ma una città troppo scritta diventa sterile.
Meglio lasciare zone grigie, mappe incomplete, personaggi con motivazioni ambigue.
E avere sempre un paio di elementi pronti da inserire in corsa: un mistero, un oggetto, un messaggero, un evento imprevisto.
Concludere (e rilanciare) in città
Chiudere un’avventura ambientata in una metropoli richiede un po’ di attenzione. Il rischio è lasciare troppi fili aperti.
Io tendo a rivedere insieme ai giocatori cosa è successo, quali relazioni si sono create, e quali questioni restano sospese.
La bellezza di una città è che non finisce mai.
Anche quando un ciclo narrativo si chiude, puoi riaprirne un altro con pochissimo:
una nuova autorità al potere,
un oggetto scomparso,
un festival in arrivo,
o un quartiere mai esplorato.
Nel design dei miei giochi – e delle esperienze formative che uso con gruppi reali – cerco sempre di lasciare un “gancio visivo” o simbolico per nuove trame. A volte è un segnalino lasciato sul tavolo, a volte una carta non pescata, a volte una stanza non visitata.
La metropoli come strumento di formazione
Anche fuori dal contesto ludico puro, le città immaginarie funzionano benissimo nei laboratori:
puoi usarle per esplorare dinamiche sociali,
per simulare conflitti o scenari decisionali,
per raccontare metaforicamente la crescita di un gruppo.
In questi casi, costruisco vere e proprie “città simboliche”, fatte di pezzi modulari incisi al laser o stampati in 3D, che i partecipanti possono esplorare e modificare.
E ogni città, anche quella più astratta, è sempre una storia in attesa di essere vissuta.


