Una Metropoli Vale Mille Dungeon: Giocare e Narrare in una Città Senza Limiti

Una città aperta può essere come un labirinto se gestita e progettata correttamente

MATERIALIGAME DESIGNEDUCAZIONE

Marco Bacceli

3/26/20253 min leggere

La metropoli come labirinto narrativo

Progettare città da esplorare come si esplora un gioco

Quando progetto un’avventura – che sia per un gioco di ruolo o per un’esperienza formativa – mi capita spesso di partire da una mappa urbana. Non solo perché è più facile da gestire, ma perché una metropoli ben costruita può diventare un labirinto narrativo dinamico, ricco e sorprendente.

Mi piace pensare alla città come a un “dungeon a cielo aperto”: fatta di corridoi, stanze, incontri, chiavi e segreti. Ma a differenza dei dungeon classici, qui puoi sempre aggiungere qualcosa, cambiare un quartiere, far sparire un personaggio, nascondere un nuovo enigma.

Un mondo che sembra libero, ma è ben guidato

Una delle cose che ho imparato lavorando con giochi e gruppi reali (sia al tavolo che in aula) è che le città funzionano benissimo anche per avventure strutturate.
Il giocatore sente di potersi muovere liberamente, ma in realtà è dentro un tracciato preciso, pieno di incontri, ostacoli e deviazioni.
La complessità urbana diventa così un modo per dare la sensazione di esplorazione, mentre guido la storia verso i suoi nodi.

Ogni taverna è una stanza.
Ogni vicolo è un tunnel.
Ogni mercato è un bivio narrativo.

Nel mio laboratorio ho anche creato materiali su misura per rappresentare città modulabili: plance, gettoni, tessere, carte da estrarre casualmente… tutte soluzioni che uso per far sì che ogni sessione in città sia diversa dalla precedente.

I superpoteri del master urbano

Quando una metropoli funziona bene, il master (o facilitatore) guadagna una flessibilità straordinaria.
Può muovere i personaggi non giocanti come pedine su una scacchiera narrativa, far apparire eventi al momento giusto, cambiare ritmo, spostare l’attenzione da un quartiere all’altro.

Naturalmente, serve un minimo di preparazione:

  • mappa chiara (anche se stilizzata),

  • identità per ogni zona della città (quartiere commerciale, zona malfamata, distretto religioso…),

  • e soprattutto NPC ben caratterizzati: artigiani, informatori, funzionari, guardie, osti, bambini curiosi…

Nel mio lavoro uso spesso simboli e carte personaggio per rappresentare questi incontri: oggetti reali che rendano la narrazione più tangibile.
Avere a disposizione strumenti artigianali pensati per gestire una città aiuta moltissimo a improvvisare in modo coerente.

Preparare, sì. Ma anche saper lasciare spazio

Come sempre nel gioco, serve equilibrio tra controllo e improvvisazione.
La città diventa viva solo quando i giocatori la attraversano. Le loro scelte, le deviazioni, i tentativi falliti sono ciò che la rendono vera.
Un errore comune è quello di voler pianificare tutto in anticipo. Ma una città troppo scritta diventa sterile.

Meglio lasciare zone grigie, mappe incomplete, personaggi con motivazioni ambigue.
E avere sempre un paio di elementi pronti da inserire in corsa: un mistero, un oggetto, un messaggero, un evento imprevisto.

Concludere (e rilanciare) in città

Chiudere un’avventura ambientata in una metropoli richiede un po’ di attenzione. Il rischio è lasciare troppi fili aperti.
Io tendo a rivedere insieme ai giocatori cosa è successo, quali relazioni si sono create, e quali questioni restano sospese.

La bellezza di una città è che non finisce mai.
Anche quando un ciclo narrativo si chiude, puoi riaprirne un altro con pochissimo:

  • una nuova autorità al potere,

  • un oggetto scomparso,

  • un festival in arrivo,

  • o un quartiere mai esplorato.

Nel design dei miei giochi – e delle esperienze formative che uso con gruppi reali – cerco sempre di lasciare un “gancio visivo” o simbolico per nuove trame. A volte è un segnalino lasciato sul tavolo, a volte una carta non pescata, a volte una stanza non visitata.

La metropoli come strumento di formazione

Anche fuori dal contesto ludico puro, le città immaginarie funzionano benissimo nei laboratori:

  • puoi usarle per esplorare dinamiche sociali,

  • per simulare conflitti o scenari decisionali,

  • per raccontare metaforicamente la crescita di un gruppo.

In questi casi, costruisco vere e proprie “città simboliche”, fatte di pezzi modulari incisi al laser o stampati in 3D, che i partecipanti possono esplorare e modificare.

E ogni città, anche quella più astratta, è sempre una storia in attesa di essere vissuta.