Come nasce un’attività su misura. Dal primo contatto alla stampa dell’ultima carta
Dietro ogni attività formativa personalizzata c’è un processo fatto di ascolto, progettazione e costruzione. In questo articolo ti racconto passo dopo passo come prendo vita le esperienze ludico-formative che realizzo su misura.
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Come nasce un’attività su misura
Dal primo contatto alla stampa dell’ultima carta
Quando qualcuno mi contatta per organizzare un’attività formativa, la domanda che si nasconde dietro le prime parole è quasi sempre la stessa:
“Possiamo fare qualcosa che sia davvero nostro?”
La risposta è sì.
Ma per farlo servono ascolto, intuito, progettazione… e un po’ di colla vinilica.
Nel tempo ho costruito un mio modo di lavorare, che mescola la sensibilità del formatore con l’approccio creativo del maker. In questo articolo voglio raccontarti come nasce, passo dopo passo, un’attività ludico-formativa su misura. Non un format pronto all’uso, ma qualcosa costruito appositamente per quel gruppo, in quel momento.
1. Il primo contatto: "Vorremmo fare qualcosa di diverso"
Tutto parte da un messaggio o una telefonata. Spesso chi mi contatta ha un’intuizione, ma non sa ancora bene come concretizzarla.
Può essere un’azienda che vuole lavorare sulla comunicazione interna, una scuola che vuole far dialogare insegnanti e studenti, o un’associazione che vuole rimettere in moto un gruppo stanco.
In questa fase ascolto. Chiedo:
Chi parteciperà?
Cosa sperate che accada (o non accada)?
Qual è il clima del gruppo?
Cosa avete già provato in passato?
Non prendo appunti tecnici: raccolgo sensazioni, parole ricorrenti, immagini evocative. A volte basta una frase per accendere l’idea giusta.
2. Il disegno invisibile: progettazione esperienziale
Il passo successivo è la progettazione dell’attività. Non inizio dal gioco, ma dall’esperienza che voglio far vivere.
Cerco una forma che risponda al contesto:
Un gioco cooperativo?
Una sfida a ruoli asimmetrici?
Un’attività manuale di costruzione o esplorazione?
Penso a cosa devono poter fare, provare, rischiare i partecipanti.
Qui entrano in gioco anche gli spazi, i tempi disponibili, la possibilità di lavorare all’aperto, o la necessità di restare seduti. Ogni vincolo diventa una risorsa progettuale.
A volte disegno a mano uno schema del flusso dell’attività. Altre volte inizio subito a modellare materiali: dadi, simboli, plance… il progetto prende forma tra le mani.
3. Il cuore dell’esperienza: i materiali
Una delle cose che mi distingue è che molti dei materiali che uso li costruisco io.
Uso stampa 3D, taglio laser, illustrazioni personalizzate. Non per sfoggio, ma perché credo che ogni dettaglio conti.
Un gettone inciso può far sentire un ruolo importante.
Una carta con illustrazioni personalizzate può aiutare a calarsi in un personaggio.
Un oggetto da montare può trasformare un’idea astratta in un gesto concreto.
La fase di costruzione è anche un modo per testare le dinamiche: manipolando i pezzi, spesso mi accorgo di elementi da semplificare, potenziare o ribaltare.
4. La prova mentale: immaginare il gruppo in azione
A questo punto ho un prototipo. Non sempre fisico, ma almeno concettuale.
Ora immagino i partecipanti.
Visualizzo la partenza:
chi sarà il primo a prendere la parola?
chi osserverà in silenzio?
cosa succederà quando emergerà il conflitto?
dove inserire una sorpresa? un cambio di ritmo? un momento simbolico?
Questa fase è invisibile, ma fondamentale. È qui che il gioco smette di essere “struttura” e inizia a diventare esperienza.
5. Il giorno dell’attività: lasciare spazio al gruppo
Quando arrivo con la valigetta piena di materiali, sono preparato… ma anche pronto a cambiare.
Nessun piano sopravvive al contatto con i partecipanti – e va bene così.
Conduco l’attività in modo discreto ma presente. Guardo le espressioni, noto le pause, intervengo solo quando serve. A volte il gioco prende direzioni inattese, e capita che siano proprio le migliori.
Non mi interessa che “vada tutto secondo i piani”.
Mi interessa che le persone si sentano libere di esplorare, e che il gioco apra spazi nuovi nel gruppo.
6. Il cerchio che si chiude: debrief, materiali e memoria
Dopo ogni attività, c’è sempre un momento di condivisione.
Non è un bilancio, non è un questionario. È uno spazio per dare parole a ciò che è successo.
Qualcuno racconta un’intuizione, qualcun altro una fatica. A volte emergono connessioni inaspettate.
In molti casi, lascio al gruppo alcuni materiali: una carta, una mappa, un oggetto simbolico. Servono come ancore di memoria: non solo “ricordi”, ma strumenti per tornare con la mente all’esperienza fatta.
E poi, se serve, si apre la fase successiva: adattare, rielaborare, replicare. Ogni attività può evolvere, trasformarsi, diventare parte di un percorso più lungo.
Cosa significa davvero "su misura"?
Per me non significa “fare tutto da zero ogni volta”.
Significa progettare con cura, sapendo che ogni gruppo ha una sua voce, un suo ritmo, un suo modo di entrare nel gioco.
A volte basta cambiare tre carte per rendere un’attività perfetta per un nuovo contesto. Altre volte serve ripensare tutto da capo.
In ogni caso, l’obiettivo è sempre lo stesso: costruire qualcosa che lasci traccia. Non un semplice intrattenimento, ma un’esperienza che possa risuonare anche dopo giorni o settimane.
👉 Nel prossimo articolo, ti porterò dietro le quinte della mia valigetta: quali materiali uso, come li costruisco e perché certi oggetti fanno davvero la differenza in un’attività formativa.


