Dentro la mia valigetta Cosa porto quando il gioco si fa serio

Carte, pedine, simboli e oggetti da costruire: ogni attività formativa ha bisogno di strumenti concreti. In questo articolo ti racconto cosa porto con me, come li creo e perché ogni dettaglio può fare la differenza.

FORMAZIONELABORATORIOGAME DESIGN

Marco Bacceli

5/22/20253 min leggere

a man in a suit case with a box of dicers
a man in a suit case with a box of dicers

Dentro la mia valigetta

Cosa porto con me quando il gioco si fa serio

Ogni volta che arrivo in un nuovo contesto, che sia un’azienda, una scuola o un’associazione, arrivo con una valigetta piena di oggetti.
Non è una metafora: è proprio una valigetta. A volte due o tre. E dentro ci trovi pezzi di mondo che ho costruito con le mie mani.

Chi mi vede scaricare quei contenitori neri con chiusure a scatto non sa ancora cosa aspettarsi. Alcuni immaginano giochi da tavolo, altri materiali scolastici, qualcuno fa battute sul “prestigiatore”.
E in parte hanno ragione tutti.

Perché quella valigetta non contiene solo strumenti. Contiene porte d’accesso all’esperienza.

Oggetti che fanno succedere le cose

Una delle cose che mi chiedono più spesso è:
“Ma davvero hai costruito tutto tu?”

La risposta è: quasi sempre sì.
Alcuni oggetti nascono da esigenze precise, altri da intuizioni improvvise. Alcuni sono belli da vedere, altri volutamente grezzi. Tutti però hanno una funzione: non decorano, attivano.

Uso tanti strumenti nel mio laboratorio – stampanti 3D, laser, plastificatrici, plotter, stampanti A3… – ma nel blog preferisco non entrare troppo nel dettaglio tecnico.
Perché ciò che conta davvero è il perché realizzo quegli oggetti.
E soprattutto, cosa succede quando li metto nelle mani delle persone.

Il potere di un oggetto concreto

Nel gioco, un oggetto può diventare tutto:

  • una carta può rappresentare un’identità,

  • un gettone può contenere un potere segreto,

  • una chiave può aprire una porta che non esiste.

Lavorando in contesti formativi, mi sono accorto che l’oggetto giusto, al momento giusto, cambia la qualità dell’esperienza.
Non serve che sia perfetto. Spesso anzi è proprio l’aspetto artigianale, fatto a mano, che abbassa le difese e accende la curiosità.

Un dado inciso al laser, una tessera in legno, una pedina con una piccola imperfezione: sono elementi che fanno venire voglia di toccare, di provare, di chiedere “e questo a cosa serve?”.
E da lì parte il gioco.

Categorie invisibili nella valigetta

Negli anni ho notato che, senza volerlo, ho iniziato a portare con me oggetti che potrei dividere in famiglie funzionali.
Ecco alcune delle più ricorrenti:

🎭 Oggetti-identità

Carte, collari, simboli da indossare, segnaposto personalizzati.
Servono a far sentire ogni partecipante “qualcuno”, non solo “uno dei tanti”.

🗝️ Oggetti-simbolo

Chiavi, cristalli, mappe, medaglioni…
Oggetti che non hanno una funzione pratica, ma che rappresentano qualcosa: fiducia, potere, scelta, appartenenza.

🧩 Oggetti da manipolare

Blocchi da montare, tessere da incastrare, pezzi da assemblare.
Perfetti per giochi costruttivi, puzzle di gruppo, attività collaborative.

🔄 Oggetti in trasformazione

Oggetti che cambiano forma, colore o funzione durante il gioco.
Permettono di vedere il cambiamento e usarlo come parte dell’esperienza.

🗂️ Oggetti organizzativi

Tabelloni, schede, elementi da posizionare.
Servono a tenere traccia delle scelte, dei ruoli, delle risorse. Spesso sono invisibili al gruppo, ma fondamentali per la struttura.

Oggetti pensati per essere lasciati

Un aspetto che amo del mio lavoro è che non tutto torna nella valigetta.
Alcuni materiali sono pensati per essere lasciati al gruppo: una carta, un oggetto, un segno.

Non è un “ricordino”. È una traccia, qualcosa che può restare su una scrivania, in un cassetto, su una bacheca, e dire:

“Ti ricordi cosa abbiamo fatto insieme?”

A volte, mesi dopo, ricevo messaggi con la foto di un oggetto che è ancora lì. E capisco che quel pezzetto di gioco ha trovato casa.

Perché costruisco tutto questo?

Perché credo che l’apprendimento passi anche dalle mani.
Quando tocchiamo qualcosa, lo internalizziamo. Quando costruiamo, ci orientiamo. Quando vediamo un oggetto prendere forma, ci sentiamo parte del processo.

La mia parte di maker non è separata da quella di formatore.
Sono due voci dello stesso mestiere: quello di creare esperienze.

E se posso farlo con materiali personalizzati, significativi, belli da usare… perché non farlo?

Cosa succede davvero quando apro la valigetta?

Succede che le persone si incuriosiscono.
Succede che qualcuno chiede “posso tenere questo?”.
Succede che un gioco diventa più di un’attività: diventa un momento di gruppo che lascia traccia.

E questo, per me, vale ogni ora passata a incidere, incollare, rifinire.

👉 Nel prossimo articolo, voglio mostrarti alcune delle domande chiave che mi faccio quando progetto un’attività su misura: per scegliere il gioco giusto, il materiale più adatto, e capire davvero di cosa ha bisogno quel gruppo.