Master vs Giocatori Come gestire (bene) le dinamiche di gruppo nel gioco di ruolo
Il gioco di ruolo è uno spazio collaborativo, ma anche delicato: la relazione tra master e giocatori può fare la differenza tra una buona sessione e un’esperienza memorabile.
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Master vs Giocatori
Gestire il tavolo di gioco come si gestisce un gruppo reale
Nel mio lavoro (e nel mio gioco), le dinamiche di gruppo sono tutto. Che si tratti di un tavolo di Dungeons & Dragons, di un'attività formativa con un’azienda, o di un laboratorio narrativo in una scuola, la relazione tra chi guida e chi partecipa è sempre il cuore pulsante dell’esperienza.
Nei giochi di ruolo, questa relazione prende forma nel dialogo tra master e giocatori. Non si tratta solo di “narrare” e “interpretare”, ma di costruire insieme un’esperienza che sia significativa, divertente e, perché no, memorabile.
Il tavolo come spazio di comunicazione
La prima cosa che ho imparato — a volte sulla mia pelle — è che senza comunicazione chiara, il gioco si inceppa.
Ogni campagna ha bisogno di una sorta di “patto sociale”: ci si accorda su tono, contenuti, limiti, libertà. Lo faccio sempre, sia nei giochi con amici, sia nei progetti con adulti o ragazzi.
Spesso comincio con una domanda semplice:
“Cosa volete da questo gioco?”
E poi costruisco a partire da lì.
Parliamo delle regole, certo, ma anche di cosa ci piace, di cosa ci infastidisce, di come vogliamo affrontare temi delicati. Meglio parlarne prima, che trovarsi a gestire conflitti a metà sessione.
Il master non è un arbitro, è un facilitatore
Una volta pensavo che il ruolo del master fosse “dirigere” la storia. Oggi so che il master costruisce lo spazio in cui la storia può emergere.
Serve equilibrio: tra improvvisazione e struttura, tra regole e libertà, tra spotlight e gioco di squadra.
E soprattutto, serve ascolto.
Ho facilitato sessioni dove alcuni giocatori avevano bisogno di più tempo per esprimersi, altri dominavano la scena, altri ancora restavano in silenzio.
In questi casi, il master non tira dadi in più: fa domande, redistribuisce l’attenzione, propone momenti in cui ogni personaggio può brillare.
Quando il gioco si fa teso
I conflitti tra giocatori succedono. Sempre. E non sono necessariamente un male.
Ma vanno gestiti bene.
In alcuni progetti, ho visto tensioni diventare occasioni di crescita. In altri, ho dovuto interrompere un’attività per evitare che degenerasse.
La chiave è intervenire subito, senza giudicare, e dare spazio a tutte le voci.
A volte basta una pausa, un cambio di scena. Altre volte serve sedersi e parlare fuori dal personaggio.
E sì: anche il master può sbagliare. L’importante è rendersene conto, chiederne conto e ripartire.
Trovare l’equilibrio tra sfida e piacere
Non esiste una formula perfetta.
Alcuni gruppi amano sfide toste, enigmi, scontri duri. Altri preferiscono esplorare personaggi, dialogare, vivere storie emozionanti.
Il mio compito — quando guido un gioco o progetto un’esperienza — è trovare quel punto di contatto tra stimolo e sicurezza.
Una sfida troppo difficile frustra. Una troppo semplice annoia.
Un gioco senza conflitti è piatto. Uno senza fiducia è ingestibile.
Provo sempre a costruire avventure che possano adattarsi al gruppo, modulare la difficoltà in base a ciò che succede, e dare senso a ogni successo (ma anche a ogni fallimento).
Un gioco è una relazione
Alla fine, ogni gruppo di gioco è una micro-comunità.
E ogni volta che un gruppo funziona, non è solo merito delle regole o del master: è il risultato di una cura condivisa.
Per me, il gioco è sempre stato questo:
un pretesto per stare insieme, raccontare qualcosa, provare a capirsi meglio.
E quando torno nel mio laboratorio e costruisco materiali per il prossimo workshop — mappe, carte, dadi, gettoni simbolici — penso a come questi strumenti potranno facilitare, anche solo un po’, il lavoro invisibile di chi sta al tavolo per far giocare bene tutti.




