Quando un sistema vale per tutto
Un sistema di gioco generico può diventare una risorsa potente, se progettato con attenzione. In questo articolo rifletto sui vantaggi e i limiti di creare regole versatili, capaci di adattarsi a molti contesti ma senza perdere coerenza.
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Quando un sistema vale per tutto
I pro e i contro di creare (o usare) un sistema di gioco generico
Da appassionato di game design, una delle cose che mi affascina da sempre è la possibilità di costruire regole che non si limitano a un solo mondo.
Un sistema di gioco che può adattarsi a un’ambientazione fantasy o cyberpunk, a un’indagine poliziesca o a un’esplorazione nello spazio. Regole così flessibili da poter essere “riusate” ovunque, senza perdere coerenza o divertimento.
Nel tempo, ho avuto occasione di scrivere, adattare e testare diversi sistemi generici, sia per il puro piacere di giocare che per la progettazione di esperienze formative. E posso dire che sì, creare (o usare) un sistema generico è una sfida affascinante, ma anche piena di insidie.
Cosa significa "generico", davvero?
Un sistema di gioco generico non è solo un set di regole neutro. È una struttura versatile, pensata per funzionare in tanti contesti diversi.
Significa poter progettare un’avventura ambientata nel Medioevo magico oggi, e domani in un pianeta ostile del futuro, senza dover cambiare tutto da capo.
Per chi gioca tanto, e cambia spesso genere o gruppo, questo è un grande vantaggio.
Per chi, come me, costruisce esperienze personalizzate per aziende o scuole, può diventare uno strumento prezioso per risparmiare tempo e mantenere coerenza tra sessioni diverse.
Quando la flessibilità diventa potere
Un buon sistema generico:
accelera l’apprendimento: una volta imparate le basi, puoi adattarlo facilmente;
permette riuso e personalizzazione, anche in contesti formativi molto diversi;
riduce il carico progettuale, così puoi concentrarti sulla storia, sui materiali o sull’ambientazione.
Nel mio laboratorio, ad esempio, uso spesso meccaniche modulari: una manciata di regole base, simboli incisi al laser, carte multifunzione… e poi li adatto al tema del giorno: risoluzione dei conflitti, cooperazione, negoziazione o esplorazione.
Ma tutto ha un prezzo
Il problema dei sistemi generici è che devono funzionare per tutto, e quindi spesso non funzionano perfettamente per niente.
Capita che alcune meccaniche risultino:
troppo neutre, al punto da diventare fredde;
poco aderenti all’ambientazione, creando dissonanze tra quello che succede nel gioco e quello che i giocatori immaginano;
oppure faticose da bilanciare, perché ogni genere richiede esigenze diverse.
Ho provato a costruire regole universali per fantasy, horror e sci-fi... e mi sono accorto che ciò che andava benissimo per un assedio medievale crollava durante un’indagine soprannaturale.
Il gruppo fa la differenza
La cosa più importante che ho capito?
Non è il sistema a fare il gioco, ma il gruppo.
Un sistema generico funziona davvero bene solo quando:
il gruppo è affiatato e collaborativo;
c’è comunicazione fluida e fiducia reciproca;
c’è voglia di adattare, modificare, interpretare.
Molte volte ho visto regole troppo generiche trasformarsi in esperienze straordinarie grazie al gruppo giusto.
Ed è per questo che quando costruisco materiali per una formazione, spesso inserisco margini di interpretazione, spazi vuoti, simboli che possono significare cose diverse a seconda del contesto.
Narrazione e immersione: due sfide vere
In un gioco, la narrazione e l’immersione sono tutto. Se un sistema generico è troppo rigido, la storia si blocca. Se è troppo vago, i giocatori si perdono.
Per questo preferisco sempre:
adattare il tono delle regole all’ambientazione;
usare materiali che rafforzano l’esperienza narrativa (icone, oggetti, scelte visive);
e mantenere un equilibrio tra struttura e libertà.
Per esempio, in un contesto fantasy medievale non uso mai carte con linguaggio moderno o simboli astratti. Se l’ambientazione ha un’identità forte, anche il sistema deve rifletterla.
Quando funziona davvero
Ci sono sistemi che ce l’hanno fatta: GURPS, FATE, Savage Worlds… Ognuno con il proprio stile, ma tutti con qualcosa in comune:
regole modulari e personalizzabili,
supporto alla narrazione,
chiarezza e coerenza interna.
Anche nei miei prototipi, cerco di imparare da loro.
Costruisco meccaniche flessibili con componenti intercambiabili, che possano essere usate per una simulazione aziendale o per una campagna narrativa con adolescenti.
E ogni volta che una dinamica funziona in due contesti diversi, so che sto andando nella direzione giusta.
Trovare l’equilibrio
Progettare (o scegliere) un sistema generico richiede una domanda fondamentale:
chi lo userà, e per cosa?
Non basta che le regole siano flessibili. Devono:
avere una logica forte,
favorire l’interazione tra i partecipanti,
e stimolare la creatività senza soffocarla.
Ogni volta che inizio un nuovo progetto, riparto da qui: dalle persone che giocheranno.
Che sia un tavolo di amici, una classe o un gruppo aziendale, il mio obiettivo è mettere in mano loro strumenti semplici, ma pieni di possibilità.


