Tre modi di giocare sul serio
Ogni gruppo ha dinamiche e obiettivi diversi: per questo non esiste un solo modo di fare formazione con il gioco. In questo articolo esploro tre modelli ricorrenti che uso per progettare esperienze ludiche su misura: cooperazione con vincoli, ruoli asimmetrici e interazione fisica. Perché il gioco è un linguaggio potente, se usato con intenzione.
FORMAZIONELABORATORIOEDUCAZIONE


Tre modi diversi di fare formazione con il gioco
(per aziende, scuole e associazioni – ma sempre con le persone al centro)
Quando mi chiedono che tipo di giochi propongo durante i miei laboratori formativi, rispondo sempre con la stessa frase:
“Dipende da cosa serve al gruppo.”
E non è una risposta elusiva – è il cuore del mio approccio.
Non esiste una ricetta unica. Cambia il contesto, cambiano gli obiettivi, cambiano le persone. Quello che posso fare, invece, è progettare l’esperienza attorno a quei bisogni, scegliendo una modalità di gioco coerente con le dinamiche che vogliamo far emergere.
Nel tempo ho identificato alcune modalità ricorrenti, ciascuna con le sue potenzialità. Oggi te ne racconto tre, che uso spesso come “formati base” da cui partire e personalizzare. Che si tratti di aziende, scuole o realtà del terzo settore, questi modelli si adattano bene e portano risultati concreti.
1. Il gioco cooperativo con vincolo di comunicazione
📍 Ideale per: team aziendali, classi scolastiche, gruppi misti di età o competenze
Questa modalità parte da un principio semplice: i partecipanti devono collaborare per raggiungere un obiettivo, ma con regole che limitano o trasformano la comunicazione.
Magari non possono parlare, oppure devono affidarsi a un codice condiviso. Oppure, ancora, ognuno ha solo una parte dell’informazione.
Il gioco non è competitivo: vincono o perdono insieme. Ma devono ascoltarsi, fidarsi, costruire un linguaggio comune.
Uso spesso questa dinamica quando voglio lavorare su:
la consapevolezza dei ruoli impliciti,
l’inclusione di voci meno ascoltate,
la gestione del conflitto comunicativo.
I materiali possono variare: da semplici carte a kit progettati con il laser, fino a oggetti costruiti in 3D. Ma l’elemento centrale è sempre la comunicazione come sfida e risorsa.
2. L’esperienza a ruoli nascosti (o asimmetrici)
📍 Ideale per: contesti associativi, gruppi educativi, ma anche team con dinamiche complesse
In questo modello ogni partecipante riceve un ruolo, un obiettivo o un'informazione diversa. Alcuni sanno più degli altri, altri devono scoprire chi sono, altri ancora gestiscono risorse comuni. Il gioco si sviluppa con meccaniche asimmetriche, e spesso c’è una componente narrativa o simbolica a sostenere l’immersione.
È una modalità potentissima per esplorare:
le dinamiche di potere o esclusione,
la negoziazione e il compromesso,
l’empatia verso ruoli diversi dal proprio.
Progettare un gioco a ruoli nascosti richiede cura: ogni dettaglio deve essere chiaro, gestibile, e supportato da materiali adatti. Qui il laboratorio diventa fondamentale: posso realizzare oggetti personalizzati, identità visive, schede, gettoni... tutto ciò che serve per rendere l’esperienza coerente e coinvolgente.
In alcuni casi la simulazione è dichiarata (sappiamo che stiamo giocando), in altri diventa quasi teatrale. In entrambi i casi, però, il debrief finale è il momento in cui tutto si collega alla realtà.
3. Il gioco costruttivo/esplorativo con elementi fisici
📍 Ideale per: gruppi nuovi, team creativi, percorsi misti adulti-bambini, ambienti scolastici
Questo modello si basa sull’uso attivo delle mani. I partecipanti costruiscono, esplorano, manipolano oggetti – spesso in uno spazio fisico allestito come scenario. A volte devono montare strutture, altre volte esplorare mappe, altre ancora risolvere puzzle tridimensionali o combinare elementi.
È una modalità ideale per:
creare coinvolgimento immediato,
lavorare sulla fiducia reciproca attraverso l’azione,
stimolare la creatività e il problem solving.
Qui la progettazione dei materiali è ancora più centrale: blocchi, percorsi, simboli, chiavi... tutto deve essere pensato perché l’interazione generi contenuto.
Questa modalità è molto apprezzata anche da chi solitamente “non ama i giochi”, perché non chiede interpretazioni, ma offre un contatto diretto con l’esperienza.
Funziona benissimo con gruppi eterogenei per età, ruolo o background, e crea una base forte per riflessioni comuni anche molto profonde.
Come scelgo la modalità giusta?
Tutto parte da una chiacchierata iniziale. Prima di parlare di giochi o materiali, voglio sapere:
chi parteciperà,
quale cambiamento o riflessione si desidera attivare,
che spazi e tempi abbiamo a disposizione.
Solo dopo decido se usare uno di questi modelli o se costruirne uno nuovo. Spesso li fondo tra loro: un gioco cooperativo può avere ruoli segreti, oppure una costruzione può avvenire con vincoli comunicativi.
La cosa importante è che non esiste un formato standard, ma un progetto pensato per quel gruppo, in quel momento.
Perché uso materiali costruiti da me?
Perché credo che la forma sia parte del contenuto. Un gioco ben progettato funziona anche con fogli fotocopiati e post-it. Ma quando i materiali sono coerenti, curati e immersivi, l’esperienza prende un altro spessore.
Grazie al mio laboratorio posso realizzare:
carte personalizzate,
plance modulari,
simboli incisi,
elementi mobili e manipolabili.
Non lo faccio per “fare scena”, ma per offrire esperienze concrete, coinvolgenti e memorabili. E ogni volta che un partecipante mi dice: “posso tenere questa carta?”, so che qualcosa è passato.
Concludendo: il gioco è un linguaggio, non un premio
Mi piace dire che non “faccio giocare le persone”, ma offro un linguaggio con cui leggere e rileggere le dinamiche di gruppo.
A volte è un linguaggio fatto di dadi e regole. Altre volte di mappe, segreti e ruoli. Altre ancora, semplicemente di oggetti da toccare e costruire.
Quale che sia la forma, l’obiettivo è sempre lo stesso: mettere al centro le persone, e dare loro strumenti per conoscersi, fidarsi e crescere insieme.
👉 Nel prossimo articolo, voglio raccontarti come nasce una di queste attività su misura: dalla prima telefonata all’ultima carta stampata, passando per domande, intuizioni e colpi di laser.


